lunedì 20 luglio 2015

Il governo del ragno.





"Trovo la vita del tutto priva di interessi, e questo avveniva specialmente quando lavoravo otto o dodici ore al giorno. E la maggior parte degli uomini lavora otto ore al giorno almeno cinque giorni alla settimana. E neanche loro amano la vita. Non c'è ragione per uno che lavora otto ore al giorno di amare la vita, perché è uno sconfitto. Si dorme otto ore, si lavora otto, si va avanti e indietro, tutte le piccole cose che si hanno da fare ... uno che lavora otto ore al giorno ha soltanto due ore o un'ora e mezzo libere per se stesso ... credo che chiunque lo ami sia un grande idiota ..."

-Charles Bukowski





Su queste parole di un'artistia, il quale più volte evitava di definirsi tale, vorrei montare quella che non voglio passi come l'ennesima idea di libertà appartenete alla mente di un fanciullo che non demorde di fronte alla maturità, tentando quindi di opporsi ad essa tramite una falsa convinzione di sapere ciò che molti altri ignorano, ma semplicemente la incarnazione digitale di un mio pensiero.


Sono deluso, tremendamente deluso. A deludermi vi è una varietà così vasta di eventi e realtà con le quali, purtroppo, ho direttamente a che fare da non rendermi possibile la loro stesura senza creare un agglomerato di pensieri ed idee incomprensibili; così inizierò con lo sfilare dal mucchio una delle ragioni che più sporgono da esso, in modo da isolarla e poterne rendere, almeno per me, più facile la comprensione.
Come Giacomo Leopardi anche io ho commesso un errore, che ha inevitabilmente segnato la mia esistenza come adulto all'interno di questa società meschina, fatta di fili ai quali siamo strettamente legati e quindi manovrati da dei burattinai che sono stati in grado di farci dimenticare come si fa a muoverci da soli, e tale errore altra identità non ha se non quella della falsa aspettativa. So di non essere l'unico ad aver sognato quando era ancora un ingenuo infante e che continua a farlo tutt'ora, causandosi così forti fitte di dolore al cuore, quanto il tempo che avrei impegnato su questo pianeta, realtà, universo, creato o illusione che sia, sarebbe stato meraviglioso e tinto dalle più sgargianti colorazioni dello spettro luminoso. Eppure proprio queste liete e gioise aspettative rappresentano la causa di tanto inadattamento alla vita.
Sono nato in questo paese di nome Italia e non mento quando affermo di non aver mai desiderato, in prima gioventù, d'avere le mie radici da tutt'altra parte; gli altri luoghi della Terra mi affascinavano e mi terrorizzavano al tempo stesso come è giusto che sia agli occhi di un curioso, ma benché non mostrassi grande patriottismo nelle mie parole e nei miei gesti, io ero felice d'essere nato nello stivale del mondo. Ho amato l'Italia per la sua quiete, per la familiarità che vi era nei paesi e nelle città di chi li abitava, per la sua semplicità così ben distaccata dalla rude e rigida disciplina Russa o dalla luminosa e tecnologica America; con il senno di poi sono certo che, con l'avanzare degli anni, avrei anche amato la mia terra natia per la sua storia e per l'incredibile quantità d'arte che essa ospita.
Vivo ad Arezzo e non immaginate quale fu il mio stupore quando venni a sapere che quel grosso uomo di pietra, pallido e dall'aria solenne che sosteggia da sempre di fronte alla stazione, come a dare il benvenuto a chiunque avesse voluto visitare la città, altri non era se non l'inventore delle note musicali; avevo sempre avuto a pochi metri da me colui che aveva reso possibile l'avvento delle grandi opere musicali, delle canzoni per giovani ribelli, delle colonne sonore dei film e non ne ero mai stato conscio. Provate a pensare come possa sentirsi un bambino ipnotizzato da una melodia nel suo lettore cd che viene a scoprire una cosa del genere, essere conscio di condividere con un tale genio il suo paese d'origine ed avere quindi dentro di sé le possibilità per inseguirlo, eguagliarlo e magari superarlo. Per me questo rappresentava come un cancello aperto verso qualsiasi destino. Bastava solo che io lo volessi e avrei potuto fare di tutto; potevo accontentarmi di avere un piccolo negozio, divenendo così amico dei clienti abituali e vivendo con una mia famiglia una vita tranquilla ed a suo modo colma di significato; oppure potevo scegliere d'imbarcarmi verso la gloria, ambire a divenire qualcuno al punto tale da poter essere eretto anche io, pallido e solenne, come Guido Monaco di fronte alla stazione della mia città.
Ovviamente non serve che io vi descriva come le mie aspettative siano state quindi deluse, allorché tutti noi siamo al corrente di come l'Italia altro non è diventata se non un grottesco ed informe ibrido dell'America verso la quale i nostri capi di stato tanto si prostrano, come dei viscidi sgherri bramosi di ricevere quella piccola monetina d'oro dalle tasche del loro oscuro signore.
L'ignoranza, l'illegalità e la falsa cecità hanno pervaso questo regno di verde, quiete, buona cucina, arte e fascino storico sino a distruggerlo per poi riplasmarlo in un'accozzaglia aberrante di rassegnazione ed avidità. Le persone non leggono più, addirittura la stesura per un curriculum lavorativo da esporre viene raccomandata in modo da essere più breve possibile perché gli italiani non hanno voglia di perdere tempo nella lettura, non comunicano più, perché sono convinti che la psiche e l'emotività altro non siano se non perdite di tempo, e quel primo e fondamentale articolo della costituzione italiana che recita:

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.


È diventato il simbolo della rovina di ciò che invece avrebbe dovuto tutelare.
In questa patria di grandi artisti, condottieri, imperi e patriottismo altro non è rimasto se non la codardia, l'arroganza e l'ignoranza. Basta dare un occhiata alla realtà, cessando di correre verso un traguardo che per tutti noi è identico ed inevitabile; l'arte e la cultura non sono più viste come un lavoro, tant'è che se si espone una passione come la musica, la scrittura, il disegno e simili quando ci viene chiesto di cosa ci occupiamo veniamo scherniti o non presi sul serio; mentre la nostra individualità come paese dotato di una propria cultura e di una propria storia è stata sepolta da tonnellate di consumismo e finto perbenismo.
Viene da chiedersi come può la popolazione di un paese che ha subito un così tale ed innegabile cambiamento non essersi mobilitata per difenderlo. Con la risposta, mi rendo conto, non potremmo essere tutti d'accordo, così come gran parte delle cose che sto scrivendo in questo momento, ma dal mio punto di vista trovo innegabile e d'obbligo ammettere che noi italiani non siamo delle brave persone. Noi fuggiamo, ignoriamo, siamo egoisti e privi d'autostima al tempo stesso, non ci facciamo delle domande in giovane età perché la lussuria, gli stupefacenti e gli atti di stupidità degna dei nostri padri primati sono divenuti la nostra nuova bandiera. Dicendo questo mi duole quindi realizzare quanto noi ed il nostro paese siamo divenuti il più gigantesco esempio di situazione kafkiana mai esistito e che forse mai esisterà.
Gli anziani lavorano illegalmente perché privi di una pensione adatta alle necessità di individui che hanno dato la loro vita per il bene della società in cui vivono; i fanciulli sono totalmente alienati dall'educazione, dai valori, dal rispetto verso se stessi e verso gli altri, incapacitati dal comprendere quanto è importante qualcosa come la spada di legno che hanno costruito con le proprie mani usando un ramo secco piuttosto che farsi comprare dai genitori un Ipad che servirà solo ad annichilirgli la fantasia e quindi l'intelletto; i giovani vivono le loro giornate all'insegna del vizio, danneggiando loro stessi e gli altri, perdendo la possibilità di sviluppare ben altre qualità, quali l'empatia, il dialogo e degli interessi per i quali darebbero ogni briciola del loro essere, e si ritrovano a dover frequentare scuole dove i professori, piegati dallo stress e dalle ingiustizie lavorative, non riescono a rispettare il programma e quindi ad insegnare ciò che dovrebbero; a conseguenza di ciò i giovani adulti, e purtroppo anche molti adulti, si ritrovano senza un lavoro oppure costretti ad essere schiavizzati da un impiego che non gli piace e che consuma loro ogni briciola di tempo che dovrebbero dedicare a loro stessi ed a ciò o chi amano.






Oramai il lavoro, o con la presenza o con l'assenza, si è trasformato nel nostro flagello più grande e come ho già scritto qualche riga sopra i nodi di tale flagello li abbiamo, anzi, li stiamo creando noi. Sfido qualsiasi cittadino italiano a non rendersi conto della situazione ed a venirne a capo con la più ovvia delle risposte. C'è un motivo per il quale l'Italia ha improvvisamente deciso di abbandonare lo splendore per il decadimento e tale motivo è legato a noi; no, non a chi ci comanda, ma solo ed esclusivamente a noi come individui che non riescono più a vedere altro se non loro stessi perché se iniziassero a guardarsi attorno non saprebbero come affrontare la dura realtà.
Con il tempo, mentre eravamo intenti a sopravvivere invece che pensare a come si vive, abbiamo lasciato che una particolare specie di ragno iniziasse a tessere la sua vischiosa ed imprigionante ragnatela e ci siamo accorti di essa solo quando era oramai più che perfetta. Il nostro ragno però non è come tutti gli altri, magari lo fosse, è una specie rara ed astuta che lascia una finta speranza alle sue vittime e non le consuma mai del tutto in modo da non dover mai più fare la fatica di tessere una ragnatela per catturare nuove prede. Noi continuiamo a dimenarci nella ragnatela, mossi dall'idea che forse riusciremo un giorno a fuggire, e lui ci osserva ghignante, strofinando le zampe pelose all'idea che il suo pasto si sta rigenerando da solo, senza che lui abbia il bisogno d'occuparsene.
Sotto quale luce radiante all'orizzonte osiamo partorire figli? Se si fosse consci almeno un minimo di questa situazione allora saremmo abbastanza solidali verso una creatura che non è ancora nata, ma che se nascesse altro non troverebbe se non affanni ed incertezze. Ma noi lo facciamo comunque perché il ragno non ci ha mangiati del tutto, no lui ci ha lasciato quell'esile idea che forse, continuando a dimenarci, riusciremo a vivere anche senza un'ala o una zampa. Però le farfalle sono fatte per volare, hanno bisogno d'entrambe le ali, così come l'essere umano è dotato di quel dono meraviglioso che è il poter godere a pieno, privo di istinti che lo governano, delle meraviglie dell'esistenza e senza di esso la sua vita non ha significato.
All'interno di questo paese ci sono persone che lavorano sino alla sfinimento, costrette dal bisogno di quella misera paga e dall'olio bollente che il datore di lavoro fa calare sulle loro teste. La loro mansione lavorativa fa a pezzi ogni attimo di tempo libero così che, non appena avranno quell'unica giornata di pace, si ritroveranno a bramare solo il riposo e cominceranno ad odiare senza una ragione anche chi sta loro accanto. Tali persone, non riuscendo a colmare il vuoto all'interno di loro stesse vanno inevitabilmente ad investire il denaro guadagnato in idiozie, favorendo così il lato consumistico che ci sta a sua volta facendo a pezzi riempiendoci di cose delle quali non abbiamo bisogno. La società ci illude ogni giorno, ci tiene impegnati con dei fantasmi, dei sosia di ciò che realmente vogliamo, ma noi non ce ne rendiamo conto perché costretti a spezzarci la schiena per qualcuno che neppure ci rispetta come esseri umani. Dall'altra parte invece abbiamo le montagne di disoccupati in possesso del tempo per potersi godere la vita, i quali però sono pesantemente limitati dall'assenza di denaro nelle loro tasche e quindi si disperano, piangono, rubano e si uccidono persino. Questo è ciò che si può intendere per situazione kafkiana: da una parte persone schiavizzate e private del tempo per uscire con gli amici, coltivare una passione, mettere su famiglia e sperimentare tutto ciò che la vita ed il mondo ha da offrire; dall'altra parte individui privi di un'occupazione e quindi di un'autonomia o magari che riescono a malapena ad arrivare alla fine del mese con quei pochi spiccioli che riescono a fare facendosi usare come degli oggetti.
Ma la vita è davvero questo? Sessanta anni di duro lavoro i quali ci impediranno di goderci il momento dove il nostro corpo è al massimo e che ci impediranno di ambire a realizzare qualcosa che ci piace? Una vecchiaia segnata dall'assenza di passioni e dalla deformazione professionale che ci ridurrà a dei mentecatti burberi ed ignorati incapaci di goderci una bella giornata di primavera seduti su di una panchina? Benché queste mie domande possano essere scambiate per le semplici lamentele di un lavativo che bramerebbe solo una vita priva d'affanni e fatica io non posso fare a meno di farmele e di provare una fredda sensazione di terrore nel vedere come gran parte delle persone accettino le risposte continuando a vivere nel loro piccolo mondo dove loro non influenzano ciò che sta succedendo. Beh forse il fanciullo che è in me non morirà mai, ma vorrei ricordare a chiunque stesse leggendo che indipendentemente da chi siamo, dal nostro titolo di studio, dalle nostre ambizioni ecc... noi restiamo degli esseri viventi e nella storia le più grandi conquiste sono sempre state quelle che avevano come protagonista l'uguaglianza tra gli esseri umani ed il diritto inderogabile di chiunque alla LIBERTA'.
Vivere schiavizzati da un'allarme elettronico che ci desterà brutalmente e senza tatto per portarci a roteare contro voglia come ingranaggi di questo spietato meccanismo dal quale solo pochi traggono vantaggio e molti invece subiscono al punto tale da trovare la forza di resistere in chi è più miserabile di loro, tutto questo non può definirsi libertà.
I fatti, la matematica, la razionalità innata dimostrano chiaramente che così le cose non funzionano e noi non dovremmo ucciderci tra noi per tentare di racimolare quel poco che di mangiabile è rimasto in questo sistema. Cosa studieranno le generazioni del futuro, se mai ce ne saranno, di questo periodo? L'umanità vanta un curriculum di eventi fatti da buoni e malvagi, con da entrambi i lati esponenti di indicibile grandezza ed intelligenza e poi arriviamo noi che siamo il mero risultato dei loro sforzi, una sorta di fallimento che dimostra come quanti sacrifici siano stati inutili.
Purtroppo anche dopo questo sfogo in me rimane costante le sconforto perché continuo a non comprendere. Il mio più grande interrogativo però rimane: perché questo paese si fa governare da dei vecchi intolleranti che non si vergognano neppure a visitare un altro stato senza conoscerne la lingua ed esponendosi in discorsi arrancati e patetici in diretta mondiale; a dispetto del laureato in lingue che indipendentemente che si trovi a fare orari pazzeschi e disumani in una fabbrica o a ciondolare in casa perché costantemente rifiutato dal mondo del lavoro non potrà fare a meno di indignarsi. I nostri politici, il nostro sistema di governo anzi, fa acqua da tutte le parti e per una sola ragione: chi siede al comando non è umile. Ci vuole umiltà per mettere i bisogni di uno stato prima di quelli personali, a comprendere la responsabilità che ogni minima azione come leader abbia effetto su chi sta al di sotto di noi. Quegli uomini e quelle donne non hanno umiltà e siccome, o per quanto io ne sappia, non sono alieni a noi superiori, o immortali o degli dei discesi per indicarci il significato dell'esistenza e tanto meno si dimostrano delle persone acculturate, non hanno il diritto di attaccarsi come dei parassiti affamati ed ingordi a questo paese. Essi sono pesantemente stipendiati per non fare nulla? Questa è la lamentela più sentita dell'italiano medio, ma io sono dell'idea che qualcosa facciano e che ci riescano anche bene: mettercelo nel culo.
Non siamo delle brave persone perché siamo noi a stipendiarli senza renderci conto che stiamo praticamente pagando una donna delle pulizie dopo averci letteralmente distrutto la casa ballandoci dentro selvaggiamente.

Non siamo delle brave persone perché abbiamo creato in noi un significato di vita fatto di sacrifici e rinunce e cerchiamo addirittura di inculcarlo nelle generazioni future.

Non siamo delle brave persone perché lasciamo che le condizioni in cui loro ci hanno astutamente messo ci portino a detestarci tra di noi, a giudicare i nostri amici ed i nostri familiari.

Non siamo delle brave persone perché pensiamo sempre al nostro piccolo, perché benché passiamo gran parte del nostro tempo a creare immagini, a condividere video e blog su questa situazione disgustosa ci limitiamo a sbraitare sui social network per avere attenzione, senza poi concludere nulla di concreto o addirittura continuando a dibatterci su questa ragnatela dando soddisfazione al suddetto ragno.

Non siamo delle brave persone perché noi scappiamo da questo paese che ha così tanto da offrire. Fuggire non è la soluzione, non lo è mai per nulla perché ciò che non abbiamo affrontato tornerà e sarà ancora più potente di prima.

Non siamo delle brave persone perché abbiamo disintegrato le ambizioni dei giovani, del futuro popolo del mondo, trasformando chi ha realizzato i propri sogni artistici, lavorativi o sportivi in fenomeni da baraccone o pilastri quasi irreali; questo perché noi ci siamo rassegnati ad essere la gomma da masticare sotto le scarpe di qualcuno che vive a nostro discapito.




Grazie per aver letto


Ow

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